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libera critica cinematografica

 
 
 
 
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Locandina
 
 
 
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Trama

Solitario proprietario di una ferramenta incontra ragazzo cinese sperduto.

 
 
 
 
 
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Voti

Il voto del redattore

  • voto
  • 3.5/5
  • valutazione
  • La commedia a metà tra il surreale ed il quotidiano che ha trionfato al Festival di Roma del 2011 per il suo humor leggero e piacevole.
  •  
 
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Il voto dei lettori

  • voto medio
  • senza voto
  • numero votanti
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Info

Cosa piove dal cielo?

di Sebastian Borensztein

 
    Dati
  • Titolo originale: Un cuento chino
  • Soggetto:
  • Sceneggiatura: Sebastian Borensztein
  • Genere: Commedia - Psicologico
  • Durata: 90 min.
     
  • Nazionalità: Spagna, Argentina
  • Anno: 2012
  • Produzione: Pampa Film, Royal Cinema Group, Televisión Federal, Tornasol Films
  • Distribuzione: Archibald Films
  • Data di uscita: 23 03 2012
 
 
 
 
 
 
 
 
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Recensione

Questa tenera, sola, pazza esistenza

di Keivan Karimi

Trionfatore all'ultimo Festival del cinema di Roma, Cosa piove dal cielo(titolo decisamente storpiato di Un cuento chino) rappresenta una piccola perla del cinema contemporaneo, se si analizzano tutte le parti focali della sua logica e della messa in scena.
Parlavamo di epoca contemporanea della settima arte e proprio da questo periodo storico a noi consecutivo si deve partire per analizzare la buona riuscita di questo progetto firmato Sebastian Borensztein, cineasta argentino classe 1963, alla sua prima pellicola di rilievo internazionale. Il film, che appare fin dalle prime battute fragile e sottile nella sua composizione e nelle atmosfere così provinciali di una Buenos Aires moderna ma dispersiva, raccoglie in una minima sfera concettuale alcuni degli argomenti intellettuali che il cinema di oggi si riserva di conseguire. Il tutto parte da un accadimento ai limiti del sovrannaturale, che vede una ragazza cinese restare uccisa dall'imprevedibile caduta dal cielo di una mucca durante una gita in barca con il suo promesso sposo; da qui l'azione si trasferisce nell'attuale Argentina, dove viene studiata da vicino la solitaria ed a questo punto monotona esistenza di Roberto, ferramenta di mezza età dal carattere scontroso ed introverso, una persona comune che non chiede legami e che ama passare i suoi giorni di ferie ai confini di un aeroporto a gozzovigliare ammirando (e forse sognando) i velivoli che partono per destinazioni sconosciute.

Il suo vezzo è la raccolta di una serie di articoli di giornale che riprendono fatti surreali e caparbi, come diversivo della routine quotidiana, come possibile speranza di una vita che può supportare anche la magia di eventi particolarmente improvvisi. Quando Roberto incontrerà per caso l'asiatico Jun, uomo che sembra essere capitato per puro caso nella capitale sudamericana, qualcosa muterà, rianimando lo scorbutico padrone di casa e scoprendo tutta la realtà del passato del malcapitato ospite cinese.Un cuento chino piace ed è piaciuto evidentemente alla giuria del Festival capitolino per via della sua modernità narrativa, così pacata e libera da affascinare e sorridere; è infatti l'umorismo leggero, mite e gradevole a dare una marcia in più all'opera, che ha il privilegio di mantenere una continuata atmosfera di profonda empatia tra i personaggi ed il pubblico.

Il protagonista Roberto, interpretato da un fantastico Ricardo Darìn, non ha nulla di speciale nella propria costruzione esistenziale e psicologica, è un uomo segnato da una vita di stenti e delusioni, con poca fiducia nel prossimo, in apparenza ormai destinato ad una solitudine perenne ed incontrollabile. Gli eventi, realistici o meno, sono il sale dell'esistenza di certi personaggi, così come i rapporti che si complicano e si risolvono con una facilità affettiva enorme. Roberto e Jun non riescono a comunicare, parlano due lingue completamente differenti, non si conoscono ma nella loro traiettoria univoca si accettano e si sopportano, tanto da schiudere una porta che nell'animo del primo sembrava essersi serrata per sempre. Colpisce l'ironia semplice e dai toni radicalmente raffinati, enfatizzata da una tendenza del film ad essere quasi silenzioso, a fondarsi ed ampliarsi nel suo contenuto sulle particolarità visive, su quel mezzo comunicativo che si allontana dalle semplici parole o dall'eloquenza che un certo tipo di cinema, prettamente commerciale, cerca di eseguire ancora oggi. C'è qualcosa di antico nella contemporaneità di Un cuento chino, pellicola morbida e piacevolissima capace di riunire la psicologia moderna della solitudine, il surreale, la leggera ironia ed una regia lineare e decisa in una gemma che piacerà sicuramente agli amanti della commedia agrodolce, assolutamente non patetica, bensì originale e quieta.


 
 
 
 
 
 
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