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libera critica cinematografica

 
 
 
 
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Locandina
 
 
 
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Trama

Gruppetto di giovani organizza festa, mostro gigante gliela rovina radendo al suolo New York.

 
 
 
 
 
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Voti

Il voto del redattore

  • voto
  • 4/5
  • valutazione
  • Buon mockumetary rispettoso delle unità aristoteliche di tempo luogo e azione
  •  
 
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Il voto dei lettori

  • voto medio
  • senza voto
  • numero votanti
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Info

Cloverfield

di Matt Reeves

 
    Dati
  • Titolo originale: Cloverfield
  • Soggetto: Drew Goddard
  • Sceneggiatura: Drew Goddard
  • Genere: Azione - Sci-fi
  • Durata: 90 min.
     
  • Nazionalità: U.S.A.
  • Anno: 2008
  • Produzione: Bad Robot
  • Distribuzione: UIP
  • Data di uscita: 01 02 2008
 
 
 
 
 
 
 
 
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Recensione

Vedi New York e poi muori

di Elena De Domincis

"Vedi Napoli e poi muori" si dice, ed essendo sullo stesso identico parallelo, la gemella morale della capitale partenopea le può essere paragonata anche in questo: vai a New York e, come a Napoli, hai visto tutto e puoi anche morire.

Dopo l'evento che ha fatto da profondo spartiacque culturale tra il XX e il XXI secolo, gli americani si stanno riprendendo decisamente bene: sono passati i tempi in cui le scene di Spiderman che volteggia tra le torri gemelle  dovevano essere tagliate. Ora i newyorkesi, dopo i vari documentari e fiction sull'evento, dopo tutto quello che è stato pianto,  detto, ridetto, sospirato,  cospirato e delirato possono permettersi il lusso di ricreare una catastrofe fittizia, incredibile, come  quella dell'11 settembre. Questo film fa leva su  quella che è stata l'emozione che ha scosso tutti, l'effetto sorpresa, il colpo di scena inaspettato dell'evento reale, così folle che poteva essere soltanto  un incidente o l'ultimo spettacolare effetto specialissimo (e irreale) di Hollywood.

La sceneggiatura  sfrutta  ciò che abbiamo visto milioni di volte nei TG e ne fa linguaggio: i palazzi che crollano, la città distrutta, la coltre di polvere che come in una moderna Pompei (e siamo sempre lì) travolge e imbianca tutto soffocando downtown come  nell'esplosione  del Vesuvio. Qualcosa di incontrollato e incontrollabile  col quale bisogna abituarsi a convivere. E come i napoletani convivono col vulcano che a ogni lieve scossa sismica fa ricordare loro del suo potere, influenzando culturalmente la popolazione addirittura a livello di architettura (a Napoli il PPN, il primo piano nobiliare, è quello più elegante, in quanto i nobili vivevano più vicini alle vie di fuga e i domestici stavano ai piani alti), così i newyorkesi hanno trasformato in "segni" tutta l'iconografia  dell'11 settembre.

Sono stati aggiunti alla semiotica cinematografica queste  sequenze che ormai non sono più un semplice riferimento a un fatto storico ma forme linguistiche per esprimere paura tangibile e smarrimento: le nubi di polvere, la gente che si nasconde nei negozi e che non ha percezione di quello che succede all'esterno se non grazie ai rumori assordanti e alle "breaking news", alle televisioni accese negli interni dei magazzini di elettronica , i fogli di carta che volano, le persone  che camminano per strada tossendo  senza vedere niente, gli elicotteri e gli aerei militari. Tutto questo non è più documentario, non è più né televisione né YouTube, è linguaggio acquisito, perché il filmato amatoriale  ormai ha la stessa dignità giuridica (e non solo) di quello professionale, anzi forse molto di più, in quanto è genuino e improvvisato, documenta i fatti reali come si voleva fare all'inizio del neorealismo. Questo lo ha capito bene  Brian De Palma che nel suo splendido ed applauditissimo Redacted, presentato alla Mostra del Cinema di Venezia  2007, utilizza proprio filmati di video blog creati ad arte e videocamera digitale. E' vero che spesso la camera a mano può dare fastidio perché non si ha una visione chiara  dello svolgersi dell'azione, ma è anche vero che è l'unico mezzo per  documentare una situazione dall'interno, anche se si tratta di mockumentary

In questo caso il primo riferimento cinematografico che viene in mente è sicuramente The Blair Witch Project, il quale però aveva a monte tutta una costruzione mediatica di preparazione finalizzata alla credibilità del filmato come autentico, col coinvolgimento di tutti i mezzi di comunicazione  immaginabili e possibili per l'epoca. Qui semplicemente ci si ispira ad un avvenimento reale per crearne uno simile , dove il vissuto privato , l'emozione personale diventano una parte di un momento condiviso, sharabile , per dirla alla internauta, diventando elemento fondamentale del fatto storico e promuovendo  il singolo cittadino da comprimario a protagonista dell'evento stesso.

Sono stati sfruttati simboli sacri per gli americani: così come sono stati sfregiati vedendosi demolire  le Twin Towers, gli autori sfruttano una forma mentis autoironica tipicamente  yiddish (alla Train de Vie per intenderci) dove al posto delle torri gemelle questa volta è la statua della libertà ad essere mutilata, la cui testa rotola per le strade della city in una scena che forse inconsciamente  rappresenta la vera  rivoluzione moderna  tanto quanto lo fu la testa di Antonietta Capeto.

Questo è il primo film ambientato a New York che dopo sette anni non solo riesce a dimostrare che l'America ha assimilato il trauma rendendolo addirittura linguaggio filmico, ma che è anche riuscita a superarlo dando una faccia al mostro che prima era invisibile. Forse gli americani ancora non riescono (o non vogliono del tutto, chissà) rendere verosimile e identificabile la causa del problema , la fonte della paura, non riuscendo a distaccarsi dai soliti mostri infantili, preferendo usare un cliché  più tradizionale alla King Kong o Godzilla, e più facilmente gestibile sul piano psicanalitico, ma è certo che sono sulla buona strada della piena ripresa psicologica. Allora  ammesso e non concesso che si possa dire "vedi New York e puoi muori", loro che hanno visto la morte di massa per davvero e che hanno visto quella che viene comunemente definita come un'apocalisse  ora sono pronti per il significato vero di questa parola , e cioè rinascita. Ce la possono fare e ce la faranno. Yes they can.

 
 
 
 
 
 
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Commenti
 

I lettori hanno scritto 1 commento

 
 
Luigi Faragalli
Luigi Faragalli
  • indirizzo IP 151.65.227.91
  • data e ora Sabato 08 Marzo 2008 [17:27]
  • commento Io penso che, almeno in Italia, l'operazione di marketing non sia del tutto riuscita. In fondo si è parlato poco del film e di certo non è entrato nell'immaginario collettivo.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
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